La rivascolarizzazione tardiva di una coronaria occlusa dopo IMA non offre benefici rispetto alla terapia medica


Esiste controversia riguardo all’utilità ( riduzione del rischio di successivi eventi ) di sottoporre pazienti stabili, ad alto rischio, con occlusione totale persistente dell’arteria coronarica correlata all’infarto, ad un intervento coronarico percutaneo ( PCI ) tardivo in aggiunta alla terapia medica ottimale.

I Ricercatori dell’Occluded Artery Trial ( OAT ) hanno esaminato 2.166 pazienti stabili con occlusione totale dell’arteria infartuata da 3 a 28 giorni dopo infarto miocardico e che avevano incontrato un criterio di alto rischio ( frazione d’eiezione inferiore del 50% oppure occlusione prossimale ).
Di questi pazienti, 1082 sono stati assegnati all’intervento PCI con impianto di stent e a terapia medica ottimale, mentre 1084 hanno ricevuto solamente terapia medica ottimale.

L’end point primario composito era rappresentato da morte, reinfarto miocardico o insufficienza cardiaca classe NYHA IV.

Dopo 4 anni non è stata evidenziata differenza riguardo all’end point primario tra gruppo sottoposto a PCI ed impianto di stent, ed il gruppo sottoposto solo a terapia medica.

E’ stato osservato che la percentuale di reinfarto non fatale tendeva a essere più alta tra i pazienti sottoposti a PCI.

Meno pazienti nel gruppo PCI a 4 mesi ed a 1 anno sono andati incontro ad angina, ma nel tempo questa differenza tra i due gruppi si è attenuata fino a scomparire.

Judith S Hochman, il Ricercatore principale dello studio OAT, ha sottolineato che nei pazienti che sono sopravvissuti ad un infarto miocardico stabile, che non vengono sottoposti ad un intervento coronarico nelle prime 12 ore, la rivascolarizzazione tardiva di una coronaria, occlusa, correlata all’infarto, non rappresenta la strategia migliore rispetto alla terapia medica. ( Xagena_2006 )

Fonte: The New England Journal of Medicine, 2006




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Cardio2006